SUPERBONUS E SUPERFURBACCHIONI

 



Questa mattina , camminando per il lungomare di Jesolo, nei pressi di piazza Nember, nell’arco di non più di 100 mt. mi sono imbattuto in una serie notevole di lavori in corso, una specie di grande cantiere in piena operatività: ristrutturazioni edilizie, rifacimenti di facciate, gru in movimento, scavatrici, betoniere, operai al lavoro sulle impalcature (nella maggior parte stranieri e senza protezioni particolari), ad un certo punto sono stato decisamente attratto da un condominio, che mi era noto esteticamente, il quale stava subendo una vera e propria metamorfosi e questo mi ha incuriosito, mi sono avvicinato per scattare alcune foto e chiedere agli operatori presenti qualche informazione. Il primo al quale mi sono rivolto non parlava molto bene l’italiano ma mi ha fatto capire, a gesti, che il rivestimento in mattoncini che caratterizzava le facciate del palazzo, prima della metamorfosi (così lo ricordavo anch’io) sarebbe stato ricoperto interamente da una intelaiatura in ferro simile a quella che si usa per i pilastri in cemento o per le pareti portanti, quindi ricoperto da una gettata consistente di non so cosa e poi, su questa, applicato il famigerato “cappotto”, con un aumento di spessore notevole che darà al fabbricato un aspetto massiccio e una solidità addirittura “antisismica” che nemmeno uno “tsunami” (come affermato da un altro che parlava italiano) “potrà buttare giù”. Inoltre, mi ha spiegato un altro operatore, italiano, che sembrava un capo, sono state approfondite e rinnovate completamente di altri due mt. le fondazioni. Essendo curioso della materia per formazione (sono architetto) mi sono fatto un giretto intorno al cantiere e ho preso visione della tabella descrittiva dei lavori che solitamente viene esposta, per Legge, all’ingresso. Sorpresona! 


Un cantiere Superbonus 110% (come molti altri nella zona) e mi sono posto una domanda: ma…un condominio tipico di Jesolo Lido, che affaccia sulla spiaggia, a 30 mt dal mare, dove per 9/10 mesi all’anno non ci abita nessuno e dove non c’è, quasi sicuramente, impianto di riscaldamento perché non servirebbe a nulla, che a mia memoria stava abbastanza bene e non era da ristrutturare, che bisogno aveva di  fare tutti questi lavori, certamente molto costosi?  Mi è poi sorta spontanea un’altra domanda, dal momento che non si capisce a chi servirà questa messa in sicurezza “anti-tsunami”, vista l’assenza di fenomeni di questo tipo in zona jesolana e anche di terremoti particolarmente violenti: cosa se ne faranno i Condomini, tutti vacanzieri estivi, di una coibentazione adatta a temperature norvegesi in uno stabile disabitato di inverno e privo di impianto di riscaldamento sul quale verificare l’eventuale “risparmio energetico”? E soprattutto, questi Condomini, saranno costretti ad installare condizionatori d’aria in tutte le stanze per non soffocare ad agosto in una scatola antisismica di polistirolo e cemento vista mare e dunque siamo proprio sicuri che ci sarà un “risparmio energetico”? Sinceramente ho avuto la netta sensazione che, da queste parti, qualcuno abbia voluto e saputo approfittare del Superbonus 110% accaparrandosi lavori di ristrutturazione, in gran parte superflui, a spese dello Stato (cioè nostre). In assenza totale di qualcuno che potesse controllarne, oltre che la fattibilità, la effettiva necessità. Tenendo in conto che chi ha una casa in uno di questi Condomini in riva al mare non è certo un “bisognoso” dell’aiuto dello Stato ma piuttosto un benestante che si può permettere una seconda o terza casa fronte mare in un posto turistico come Jesolo Lido. Allora il problema non è Superbonus sì o Superbonus no ma Superbonus solo per i fabbricati che ne hanno effettivamente bisogno e con caratteristiche che rispecchiano le necessità da cui nasce la domanda. Altrimenti è lecito pensare che su questa Legge, ottima in linea di principio, si siano avventati affaristi e speculatori grazie ai quali, alcuni politicanti, possono oggi dire che sia stata un fallimento, certo, ma solo per i tanti onesti cittadini che ne avrebbero dovuto godere a buon diritto, al posto dei "superfurbacchioni" che ne hanno approfittato.

LIBERTA' O MORTE - PIRANESI VEDOVA AL BROLO DI MOGLIANO VENETO


Questa mattina sono andato a vedere la mostra "Libertà o morte" allestita al Brolo di Mogliano Veneto con un leggero pregiudizio nei confronti del connubio Piranesi - Vedova ma curioso di capire meglio perché e come due artisti tanto distanti, nel tempo e nello stile, potessero essere associati in un percorso espositivo unico e coerente. Ho insegnato per tanti anni Storia dell’Arte nella scuola ma mai, dico la verità, mi è venuto in mente un accostamento tra questi due artisti italiani, tanto grandi quanto diversi. Devo confessare di essere rimasto colpito dalla bellezza della mostra che si percepisce proprio nel passaggio dal piano terra al primo piano ovvero dal mondo di Piranesi a quello di Vedova con una sensazione di incredibile, inaspettata continuità. Le acqueforti di Piranesi sembrano parlare lo stesso linguaggio delle riproduzioni in acquatinta di Vedova, c’è la stessa atmosfera di imprevedibile sorpresa nella scoperta degli spazi prospettici inventati dall’uno e dall’altro, seppure con tecniche e modalità espressive diversissime. Una vera scoperta, una esaltante esperienza emotiva di cui devo ringraziare coloro che hanno concepito questa proposta culturale e chi ne ha consentito la realizzazione così ben fatta, nella semplicità, nella essenzialità elegante di uno spazio che merita certamente un rilievo nazionale, più di altre precedenti (altrettanto pregevoli). Le opere esposte si osservano con godimento in quanto attraggono e incuriosiscono proprio perché se ne coglie il senso comune profondo nel confronto spontaneo e immediato tra i due Maestri. Da non perdere assolutamente.


Dal 02 Dicembre 2023 al 18 Febbraio 2024

MOGLIANO VENETO | TREVISO

LUOGO: Brolo - Centro d'Arte e Cultura

INDIRIZZO: Via Rozone e Vitale 5

ORARI: Venerdì | 16.30 > 19.30 Sabato e Domenica | 10.30 > 12.30 / 16.30 > 19.30

CURATORI: Angelo Zennaro

ENTI PROMOTORI:

  • Città di Mogliano Veneto

COSTO DEL BIGLIETTO: ingresso gratuito

IL VENTO TRA GLI ULIVI



La campagna nei dintorni di Putignano (BA) è una meraviglia. Le distese di ulivi e alberi di ogni tipo che crescono con la cura e l’amore di una antica tradizione contadina, a tratti intervallati dai muretti a secco che solo qui sanno costruire con questo livello di perizia, si perdono all’orizzonte limpido e incredibilmente privo di sagome architettoniche fuori luogo o stonate. Tutto è perfettamente armonizzato: la linea ondulata del terreno, le sagome degli alberi secolari, l’aria fresca, il cielo senza nuvole e il venticello frizzante che attraversa gli ulivi, la cui potatura esperta e accurata favorisce il passaggio dell’aria tra i rami e la migliore fioritura stagionale. Qui e là qualche trullo vecchio e malandato che ricorda un passato ormai perduto nel tempo e nei ricordi e qualche altro invece egregiamente ristrutturato. Si percepisce la determinazione e la volontà di alcuni abitanti di conservare la qualità e la morfologia del territorio, con piante e abitazioni tradizionali, seppure rimodernate con cura, e la noncuranza di altri che su questo territorio hanno solo lasciato ricordi familiari e progetti incompiuti. Una terza categoria di persone che abitano queste zone appartiene al presente e forse al futuro di questa terra meravigliosa e malinconica: stranieri in cerca di investimenti finanziari redditizi che acquistano per speculare sulle bellezze di una terra preziosa, senza scrupoli e senza un reale interesse alla tutela delle sue prerogative storiche e culturali, millenarie.

Molte masserie,  moltissimi trulli e rustici di campagna sono oggetto di compravendita da parte di gruppi stranieri che stanno lentamente ma incessantemente occupando il settore con alberghi, residence, resort e villaggi turistici che portano in Puglia turisti attratti dalle eccellenze  architettoniche, culinarie e naturalistiche che, sempre di più, sono a pannaggio esclusivo dei ricchi.

Senza capire che questo porterà ad un progressivo depauperamento di un patrimonio inestimabile di competenze, di tradizioni, di cultura che solo gli autoctoni  possono conservare con l’affetto e la dedizione necessari.

Un esempio di cosa si può fare per contrastare questa deriva drammatica viene da una coppia di giovani amici architetti che in questo territorio sono nati e cresciuti e che attualmente lavorano come professionisti  ma anche come operatori del settore turistico. Hilde e Luigi, una coppia con due figli che ha deciso da qualche anno di vivere in campagna,  senza tralasciare il proprio impegno professionale anzi, mettendone a frutto le risorse tecniche ed economiche ed investendo tutto nella costruzione di un piccolo villaggio di trulli, tutti saggiamente ristrutturati e resi abitabili con una operazione  progettuale di ampio respiro e offerti alla fruizione di un turismo colto e rispettoso del territorio, interessato a conoscere ed approfondire le peculiarità del luogo, da ogni punto di vista. Ho avuto la fortuna di soggiornare in questo bellissimo  villaggio e devo dire che da ogni particolare si coglie l’amore che questi due giovani architetti hanno per la loro terra e per il loro lavoro, la volontà di offrire ai loro ospiti italiani e stranieri, il meglio e la più alta qualità che questa terra può offrire dal punto di vista ambientale, climatico, alimentare e culturale. Questa loro necessità si percepisce da ogni cosa, dalle forme architettoniche, dalla luce che le avvolge, dai colori che hanno scelto, dai materiali e dai sistemi con cui li hanno usati per costruire, sanare, ristrutturare e arredare. Ogni trullo ha una sua definizione formale e strutturale, magari con qualche piccolo ampliamento per renderne la fruizione più confortevole (un bagno, una cucina, una cameretta e una piccola piscina) ma tutti  hanno un aspetto esteriore che testimonia la loro origine millenaria e, allo stesso tempo, una modernità prorompente ma rispettosa che li accompagna.

Hilde e Luigi sono due architetti atipici, non sono investitori accaniti e spregiudicati, non sono speculatori in cerca di guadagni facili, non sfruttano il territorio (se non con i loro ulivi centenari per fare dell’olio buonissimo) e nemmeno il turismo di massa pretenzioso e ignorante che ha invaso la Puglia da qualche decennio. Quello che dimostra di poter  spendere soldi per un lusso che in molti offrono a buon mercato e senza badare al contenuto, alla sostanza, ovvero a ciò che questa terra può offrire in termini di cultura contadina, conoscenze naturalistiche e storiche, arte e architettura, tradizioni culinarie, umanità e molto altro.

Forse il loro è l’unico modo intelligente di praticare una professione difficile come quella dell’architetto, di promuovere il proprio territorio, salvaguardarlo e viverlo appieno, senza doversi compromettere politicamente, economicamente, moralmente ma semplicemente trasformando l’amore per tutte le cose belle del loro paese in una attività lavorativa dignitosa e piena di idee innovative che serva a rendere la loro una famiglia felice e ad offrire un pezzetto di questa felicità anche agli ospiti che li vanno a trovare.

Grazie Hilde e grazie Luigi, continuate così.

























MI HA SALVATO JAMBO JAMBO

 TERZA PARTE

Un tonfo secco mi sveglia di colpo. Un cocco, con tutta la sua armatura di legno, si è abbattuto pesantemente al suolo a poche decine di centimetri dalla mia branda… Potevo riceverlo in testa se solo avessi deciso di appisolarmi un po’ più in là. Sono stato fortunato e allo stesso tempo incosciente perché ci sono cartelli dappertutto  che spiegano, in inglese, quanto sia pericoloso appostarsi all’ombra delle palme ma troppo vicini al tronco. Ci allontaniamo, per sicurezza ci incamminiamo lungo la spiaggia dove incontriamo un gruppo di donne variopinte, vestite con tessuti dai colori sgargianti, si avvicinano a noi in gruppo, sembrano allegre ma non si fanno fotografare volentieri, cantando ci incrociano, si dirigono verso un punto lontano sul mare, verso l’orizzonte. Ci chiediamo dove vadano così baldanzose queste donne vestite di tutto punto, alcune a piedi scalzi, sulle rocce taglienti nella bassa marea. Ci dicono che vanno a pesca. Non si capisce in che modo perché non portano quasi nulla se non piccolo secchio e un bastone. Camminano e cantano fino a quando le loro sagome diventano piccolissime e le loro voci indistinguibili. Dalla parte opposta si avvicina intanto un temporale…




Con un tempo incerto e tutt’altro che rassicurante ci addentriamo nel paese a ridosso del villaggio turistico, non ancora pronto ad accoglierci in quanto la pulizia della camera va avanti a rilento…Botteghette un po’ precarie si affacciano disordinatamente sulle strade di terriccio  e buche, vendono un po’ di tutto, attrezzi, utensili, cibo e spezie senza contenitori industriali, molto viene esposto all’aria aperta e le donne (sono loro che gestiscono generalmente questi negozietti) sono sedute fuori, su qualche sgabello di fortuna, per terra o sotto gli alberi e realizzano braccialetti colorati sotto lo sguardo curioso e divertito di una miriade di bambini belllissimi che sbucano qua e là. La plastica qui sembra arrivata in ritardo e la gente la conosce poco, forse non la capisce e la disperde per la strada come fosse una sostanza naturale e non chimica. Per terra è un po’ ovunque e resta in bella vista fino a quando non viene bruciata in grossi mucchi che sprigionano fumo nero pericoloso e puzzolente. Nessuno raccoglie nulla e tutto è lasciato lì a fare bella mostra di sé, sulla strada. Sotto gli alberi, negli angoli, tra le macerie…Differenziare qui è un verbo sconosciuto ma si avverte che su questo tema c’è una certa attenzione da parte del governo o di chi comanda ma, a parte sporadici contenitori in rete metallica a forma di pesci nelle zone urbane più frequentate dai turisti, c’è poca sostanza. In effetti, la prima cosa che viene in mente girando per questi  centri “urbani” è cosa faccia mai il governo locale per questa popolazione, visto lo stato delle strade, la mancanza diffusa di corrente, di acqua, di collegamenti e di servizi pubblici di ogni genere. L’acqua viene fornita a bidoni da 50 litri oppure con autocisterne che la distribuiscono nei  centri abitati a pagamento. I più fortunati la conservano in grossi silos in plastica sospesi su strutture dall’aspetto precario che ne consentono la distribuzione per l’innaffiamento o altri usi domestici ma si ha l’impressione che il meglio sia destinato ai “volponi” stranieri che hanno trasferito qui i loro affari e che stanno sfruttando a fondo la terra, qui largamente disponibile, approfittando di norme edilizie poco restrittive. La quantità di resort, villaggi a cinque stelle e strutture turistiche alberghiere di un certo pregio diffusi sul territorio, fa pensare che siano in molti gli stranieri (tanti italiani) ad avere avuto l’idea di trasferirsi qui per investire i propri risparmi in attività ricettive, nelle quali la popolazione locale è coinvolta soltanto come forza lavoro. Uno stipendio medio si aggira intorno ai 150 dollari che, al costo della vita locale, sono sufficienti per vivere dignitosamente ma non certo per accumulare capitali da investire in attività economiche e imprenditoriali. La proprietà delle attività ricettive e le poche forme di impresa restano dunque saldamente nelle mani di stranieri che arrivano qui con risorse economiche ingenti (in rapporto al contesto) che non trovano evidentemente concorrenza nell’imprenditoria locale ma piuttosto il sostegno e la collaborazione dele amministrazioni e del governo. La distanza tra chi investe e chi lavora è chiara nella evidenza architettonica: le case degli “stranieri” sono case a tutti gli effetti, solide, squadrate, in cemento, con il tetto in legno e lamiera, gli impianti regolari, i pannelli solari ecc. Quelle dei locali sono baracche che spesso cadono a pezzi, con muri di terra, lamiere arrugginite, pezzi di legno di recupero e foglie di palma e bambù assemblate alla meno peggio. Nella breve passeggiata che facciamo all’esterno, prima di tornare al villaggio ed entrare finalmente  in camera, mi convinco che qui c’è troppa distanza tra chi sfrutta la ricchezza dei luoghi (spazi infiniti, terreno in abbondanza, disponibilità e simpatia della popolazione locale, facilità di impresa, semplicità dei rapporti e della vita in generale) e chi in questi luoghi ci è nato e ci vive, apparentemente ancora da schiavo…




Rientriamo al villaggio per il pranzo in quanto ci daranno la camera solo nel primo pomeriggio. Protestare è inutile e anzi, non mi viene neanche voglia di farlo, perché i zanzibarini sono tutti troppo simpatici e gentili e con tutti i sorrisi e i “Jambo jambo” che ho ricevuto mi è passata pure la stanchezza.


AZZURRO AMIANTO

Potentissimo e commovente il finale di questo racconto struggente e pieno di amore, per le persone, per la giustizia, per i figli, per il proprio passato, per la propria città (divorata e avvelenata da imprenditori senza scrupoli e senza coscienza) e per la vita. Beatrice è un personaggio meraviglioso di cui Emilia Bersabea Cirillo descrive in modo esemplare l’umanità, divisa tra l’impulso di fare qualcosa di concreto per gli altri e il bisogno di sentirsi donna e madre di una bambina speciale con la quale ha un rapporto  difficile ma intenso. Un gruppo di personaggi che intrecciano le loro storie personali sullo sfondo di un caso giudiziario che ha caratterizzato la storia recente di un territorio che Emilia conosce molto bene, martoriato dal terremoto, dalla corruzione e da un affarismo criminale che ha cancellato molte vite che avranno giustizia solo dopo decenni e grazie al coraggio di pochi (il parroco Don Vittorio e Renato, ex sindacalista). Un racconto che non trascura la critica al solidarismo da salotto, quello che si dimostra caritatevole a parole ma poco incline all’azione e dal quale traspare l’insofferenza dell’autrice per il conformismo e l’omologazione di alcune organizzazioni politico sindacali . Ho trovato coinvolgente e ben articolata la  descrizione del mondo familiare di Beatrice, fatto di ricordi giovanili e anche di una certa agiatezza spensierata del passato, in contrasto con la difficoltà e la drammaticità del presente che trova uno spiraglio di speranza e di ottimismo nel rapporto ritrovato (o forse appena nato) con Bianca, la sua bambina. Consiglio la lettura di  “Azzurro amianto” perché è un libro di qualità che ci racconta la realtà in cui siamo immersi tutti e del veleno, concreto ma anche metaforico, invisibile e pericoloso che respiriamo quotidianamente e dal quale ci possiamo salvare solo con la passione, l’impegno civico, la solidarietà e l’amore.

Nota: Sono stato compagno di università di Emilia e ne sono amico da circa cinquant'anni, ne apprezzo la tenacia e la passione di scrittrice da quando la osservavo, da studentessa di Architettura, leggere libri a tutte le ore e in tutte le condizioni ambientali, con stupore e anche un po' di invidia...


Emilia Bersabea Cirillo


MI HA SALVATO JAMBO JAMBO



SECONDA PARTE



Non potendo entrare in camera prima delle 14.00 esploriamo un po’ il villaggio che, fortunatamente, dispone di molte zone arredate con divani, letti, poltrone, di un vasto ristorante di un bar, di piscine, pizzeria italiana, palestra e zona per praticare lo yoga, palme, fiori e piante bellissime in quantità, spiaggia con appositi lettini sotto palme altissime da cui, con un certo ritardo e a mio rischio, ho appreso che cadono i cocchi quando sono maturi, centro benessere, lavanderia, uffici di cambio e turistici per ogni esigenza e persino il “villaggio Masai”, una ricostruzione in scala uno a uno di un “vero villaggio Masai” come dice la pubblicità. Peccato che sia la brutta copia di quello che si può tranquillamente vedere uscendo dal nostro Resort e attraversando la strada… Dall’aeroporto principale di Stone Town la strada che porta a Pingwe, dove siamo alloggiati, è solo in parte asfaltata e, al momento, piena di buche, per cui i numerosi pulmini che fanno la spola  per trasportare turisti nelle nostra zona sono piuttosto sgangherati ma gli autisti sembrano felici. Mi dice M., che vive da diversi anni a Pingwe e che rappresenta la ragione per la quale io e mia moglie ci troviamo qui, che la massima aspirazione dei locali è quella di avere un taxi con cui scarrozzare turisti e la cura con cui ogni taxi in cui entriamo è arredato sembra confermare questa informazione, vorrei avere per la mia Multipla quel coprivolante in pelliccia arancione ma non so se in Italia sarebbe considerato un particolare di “lusso” come da queste parti. Confesso che in tante cose l’edilizia urbana e il parco automobilistico locale mi richiamano alla memoria alcune periferie del nostro sud e non mi sento per niente a disagio, anzi, mi sembra di essere a casa… Anche se, devo dire la verità, un recinto fatto di copertoni non l’avevo ancora visto e non è per nulla sgradevole, nel contesto. Non avendo la camera per riposare approfittiamo dei lettini a bordo piscina dove si è immersa una signora che si lascia mollemente trasportare dalla leggera corrente creata dal vento mentre gli altoparlanti trasmettono musica new age e, un po’ più in là, alcune signore di una certa età si impegnano con giovanotti locali in improbabili esercizi yoga. L’atmosfera è favorevole e dunque ci prepariamo ad un pisolino rigenerante al fresco di questo clima caldo ma non asfissiante e, all’ombra, addirittura gradevole. Neanche fatto in tempo a pensare di chiudere finalmente gli occhi per almeno un paio d’ore che parte la musica a palla dal bar immerso a pelo d’acqua e inizia la fase scatenamento: un’esaltata che pare essere italiana e che non abbiamo mai visto prima ci si avvicina entusiasta di coinvolgerci nella danza del mattino, tutti insieme, a bordo piscina per un inizio della vacanza benaugurante e frenetico. 


Nelle sue intenzioni di animatrice professionale c’è sicuramente un progetto micidiale al quale intendiamo sfuggire immediatamente, ci alziamo con la scusa che la camera è quasi pronta e ci allontaniamo verso la spiaggia, meravigliosa, immensa, bianca come non  abbiamo mai visto e dove il sole picchia duro, tanto che devi indossare per forza occhiali da sole e spalmarti di protezione 50. Uno sguardo al bagnasciuga ci fa immediatamente passare la voglia di fare il bagno, è pieno di ricci e non è sabbioso dunque pericolosissimo, per questo notiamo la presenza di una lunga pensilina di cemento che porta il turista desideroso di immergersi, a circa 200 metri al largo per tuffarsi in un’acqua piuttosto biancastra, non perché sporca ma perché smuove la sabbia finissima del fondale. Non ci resta quindi che occupare qualche lettino lontano dalla piscina e dai rumori del villaggio vacanze per la tanto agognata dormitina, che dici? Che ore sono? Le 11.00, proviamo…














MI HA SALVATO JAMBO JAMBO


PRIMA PARTE



Andare a Zanzibar. Fino a qualche tempo fa mi sembrava impresa eroica e quasi impossibile, oggi, col senno di poi, posso dire che è stata una esperienza molto interessante, estremamente divertente, piuttosto faticosa alla nostra età (io e mia moglie siamo coetanei per quanto Vittorio Sgarbi, qualche giorno fa, le abbia dato 15 anni meno di me) e, in un certo senso, spirituale. C’è una distanza fisica pari a quella culturale, enorme, tra l’Italia e questo paese africano. Zanzibar è Tanzania, terra di Masai. 



Un posto incredibile. Si muove tutto lentamente tra orizzonti infinitamente lontani e spiagge bianche come neve battuta, palme altissime che ondeggiano al vento e volti sorridenti, perennemente curiosi, amichevoli, a cui la cattiveria sembra sconosciuta. Ragazzi sorridenti sfrecciano felici su improbabili motorette, in tre e anche in quattro e, ad ogni incontro, anche casuale, ti salutano con un “Jambo Jambo” oppure “Akuna matata” e sembrano sempre attendersi uno scambio, un cenno di saluto, una prova d’amicizia. Sbucano con queste loro teste ovali  meravigliose da orribili costruzioni in muratura, spesso pericolanti, tumefatte, semi crollate o soltanto iniziate, rattoppate con pezzi di lamiera, legno di recupero o foglie di palma, essenziali ma funzionali a svolgervi la loro esistenza semplice e naturale. Dappertutto, ai lati della strada principale, vedi bottegucce che vendono qualcosa, che stanno in piedi per miracolo, i cui proprietari si espongono al passaggio così come le semplici merci riposte su banchetti in legno traballanti sui quali spiccano alcuni frutti e poche verdure dai colori vivaci  che, incredibilmente (per noi) troveranno dei compratori prima di sera. Uno di questi commercianti, mi dicono, riesce anche a dormire dentro una minuscola capanna-negozietto di pochi metri quadrati, senza luce e senza niente che possa farlo sembrare un luogo di lavoro e anche una casa. A qualche decina di metri di distanza le costruzioni in “stile africano”  e la vegetazione colorata e rigogliosa del villaggio vacanze dove saremo alloggiati, emergono tra le macerie dell’abitato circostante, dove bambini bellissimi e vivaci, vestiti di stracci, giocano tra le pozzanghere  e i rifiuti sparsi un po’ ovunque. Arriviamo in mattinata, dopo un volo notturno interminabile (almeno per me che sopporto poco l’idea di essere sospeso a 11.000 metri nel vuoto, al buio e al freddo della notte) e una notte insonne, con l’immagine fissa di una doccia e un letto ma…la stanza non è pronta e non lo sarà fino a dopo pranzo perché le operazioni di pulizia e sistemazione richiedono tempi lunghi e, come potremo apprezzare anche nei giorni a venire, tutto a Zanzibar si svolge lentamente, con calma, “pole pole”*

*letteralmente “piano piano” in lingua Swahili, è un invito a rallentare, a fare tutto con calma, con pazienza.









Le case dei villaggi sono costruite in vari materiali, terra, impasti di cemento e pietre, lamiera, foglie di palma essiccate, un po' di tutto, diciamo che non si fanno problemi e non ne hanno nemmeno dal punto di vista climatico, dunque molte abitazioni sono senza infissi ma la tecnica costruttiva che vedete nelle foto qui sopra è davvero interessante e di (apparente) facile esecuzione, i tetti di foglie di palma vengono periodicamente rinnovati, quelli di lamiera resistono al tempo e alla ruggine e gli abitanti non ne temono la pericolosità, come è facile intuire.